IMPIEGO PUBBLICO - Cons. Stato Sez. III, 29-01-2018, n. 616

IMPIEGO PUBBLICO - Cons. Stato Sez. III, 29-01-2018, n. 616

La restitutio in integrum, cioè l'integrale ricostruzione degli effetti economici della posizione del pubblico dipendente è ammessa nei soli casi in cui vi sia stata un'illegittima interruzione o sospensione di un rapporto già costituito e non laddove vi sia stata una mancata o tardiva immissione in ruolo, ciò in dipendenza della natura sinallagmatica del rapporto di lavoro e dell'attività di servizio, il che impedisce il parallelismo tra interruzione del rapporto già in atto e che doveva altrimenti proseguire, rispetto ad un rapporto non ancora costituito e mai svolto. Tale riconoscimento, tuttavia, non si estende a tal punto da riconoscergli anche un indebito arricchimento dalla situazione giuridica che l'Amministrazione ha illegittimamente determinato. Ne consegue che nella ricostruzione della carriera economica per il periodo interessato, l'amministrazione dovrà comunque detrarre quanto il dipendente risulti avere percepito a qualsiasi titolo, per prestazioni o attività svolta nel periodo di tempo durante il quale il rapporto è stato interrotto. (respinge il reclamo ex art. 114, comma 6, c.p.a.)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6463 del 2015, proposto dal prof. P.M., rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Malinconico e Pier Giorgio Avvisati e con questi elettivamente domiciliato in Roma, via Nizza n. 53, presso lo studio Pernazza;

contro

l'Azienda U.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,

per l'ottemperanza

alla sentenza del Tribunale civile di Latina n. 405 del 14 febbraio 2012.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto il reclamo depositato dal prof. M. il 2 ottobre 2017;

Visto l'art. 114, comma 6, c.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 il Cons. Giulia Ferrari e udito il difensore presente dell'appellante, come da verbale;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Il prof. P.M., professore associato di nEurochirurgia, con provvedimento n. 419 del 31 marzo 2005 dell'Azienda U.S. è stato nominato responsabile dirigente di I livello della U.O.S. di NEurotraumatologia del presidio ospedaliero nord. Con provvedimento n. 101 del 10 febbraio 2009, la AUSL ha revocato l'incarico e ha disposto la destrutturazione del sanitario.

Il Tribunale di Latina, Sezione Lavoro, con sentenza n. 405 del 14 febbraio 2012, ha dichiarato l'illegittimità del succitato provvedimento n. 101 del 2009, ha annullato la revoca dell'incarico del prof. M. ed ha condannato la AUSL di Latina al pagamento a quest'ultimo: a) delle retribuzioni perdute a causa della destrutturazione a far data dal 16 giugno 2009 e fino al momento dell'effettiva riassegnazione delle funzioni assistenziali, oltre interessi e rivalutazione monetaria; b) della somma di Euro 150.000,00 (oltre agli interessi legali dalla decisione al saldo) a titolo di risarcimento del danno professionale, all'immagine ed alla reputazione dallo stesso patito; c) della somma di Euro 5.800,00 oltre a spese generali, IVA e CPA, per spese di giudizio liquidate.

2. Stante l'inerzia dell'Azienda sanitaria ad eseguire il giudicato formatosi sulla sentenza del giudice del lavoro di Latina, il prof. M. ha adito il Tar Latina perché ordinasse la puntuale e immediata esecuzione della sentenza del Tribunale civile di Latina e condannasse la Pubblica amministrazione a risarcire il danno conseguente alla mancata tempestiva ottemperanza. Il Tar Latina, con sentenza n. 315 del 7 aprile 2015, ha dichiarato inammissibile il ricorso per non essere stato dimostrato l'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza del giudice civile, necessaria ex artt. 112, comma 2, e 114, comma 2, c.p.a..

3. Avverso la sentenza del Tar Latina n. 315 del 2015 è stato proposto appello dal prof. M., accolto dalla sez. III del Consiglio di Stato con sentenza n. 582 del 10 febbraio 2016, sul rilievo che la pendenza di un giudizio per revocazione, proposto dall'Azienda sanitaria, non è incompatibile con il passaggio in giudicato della sentenza, attestato in calce alla copia depositata agli atti di causa dinanzi al Tar Latina.

Il giudice di appello ha quindi ordinato l'esecuzione della sentenza del Tribunale civile di Latina n. 405 del 2012. Ha invece respinto la domanda di risarcimento danni per tardiva esecuzione della pronuncia, non essendo state offerte dall'appellante prove sicure in ordine alla sua attuale situazione personale e professionale. Ha anche nominato un commissario ad acta nella persona del Prefetto di Latina (o di un suo delegato) affinché, in caso di infruttuoso decorso del termine di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza stessa, si sostituisse all'Amministrazione inadempiente ponendo in essere ogni atto amministrativo e contabile necessario alla riammissione in ruolo ed in servizio del prof. M. ed al pagamento in suo favore delle somme riconosciute spettantegli dalla succitata sentenza del Tribunale civile di Latina n. 405 del 2012.

Con nota n. 28242 del 5 dicembre 2016 il Prefetto di Latina ha chiesto alla III sez. del Consiglio di Stato, al procuratore del prof. M. e alla AUSL di Latina se gli adempimenti posti in essere dalla Azienda sanitaria potessero ritenersi satisfattivi.

Con nota del 9 marzo 2017 l'avvocato difensore del prof. M. ha risposto che la liquidazione dei compensi retributivi spettanti non era satisfattiva dei diritti del ricorrente atteso che l'Azienda sanitaria aveva corrisposto detti compensi limitatamente al periodo 16 febbraio 2009 (data di revoca dell'incarico di responsabile dirigente di I livello della U.O.S. di NEurotraumatologia del presidio ospedaliero nord) - 20 novembre 2009 (data di inizio di un nuovo rapporto di lavoro presso il Policlinico Umberto I).

Non essendoci stato alcun seguito, con nota del 22 giugno 2017 il prof. M. ha chiesto al Prefetto, in qualità di commissario ad acta, di dare integrale e corretta esecuzione al giudicato entro dieci giorni dalla ricezione della suddetta sua nota. Anche tale istanza non ha avuto esito.

4. Con reclamo ex art. 114, comma 6, c.p.a., notificato alla AUSL di Latina il 30 settembre 2017 e depositato il successivo 2 ottobre, il ricorrente prof. M. segnalava, per il tramite del suo difensore, che il Commissario ad acta non aveva ancora adempiuto, nonostante i solleciti, avendo egli diritto ai compensi retributivi dal 16 febbraio 2009 (dies a quo individuato anche dall'Azienda sanitaria) fino al momento dell'effettiva riassegnazione delle funzioni assistenziali, così come puntualmente disposto dalla sentenza del Tribunale civile di Latina n. 405 del 2012. Di qui l'istanza al Consiglio di Stato di ordinare al Commissario ad acta di ottemperare e, in caso di perdurante inerzia, di procedere alla sua sostituzione.

5. Con nota prot. n. (...) del 5 ottobre 2017 il Commissario ad acta ha chiesto al Consiglio di Stato di chiarire se l'adempimento effettuato dall'Azienda sanitaria - con il pagamento dei compensi retributivi dal 16 febbraio 2009 al 20 novembre 2009 - possa essere considerato corretto.

6. Alla camera di consiglio del 18 gennaio 2018 la causa è passata in decisione.

7. Il reclamo - depositato nel termine di sessanta giorni decorrente dalla formazione del silenzio opposto sull'ultima diffida (del 22 giugno 2017) inoltrata al Commissario ad acta perché si sostituisse all'Azienda sanitaria inadempiente - è infondato.

La sentenza del Tribunale civile di Latina ha condannato, tra l'altro, l'Azienda sanitaria al pagamento delle retribuzioni perdute a causa della destrutturazione a far data dal 16 febbraio 2009 e fino al momento dell'effettiva riassegnazione delle funzioni assistenziali, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Il giudice del lavoro non ha però specificato se alla somma così calcolata andasse sottratto quanto medio tempore percepito in costanza dell'attività prestata presso il Policlinico Umberto I di Roma.

Ricorda il Collegio che pacifica giurisprudenza ammette la restitutio in integrum, cioè l'integrale ricostruzione degli effetti economici della posizione del pubblico dipendente nei soli casi in cui vi sia stata un'illegittima interruzione o sospensione di un rapporto già costituito e non laddove vi sia stata una mancata o tardiva immissione in ruolo, ciò in dipendenza della natura sinallagmatica del rapporto di lavoro e dell'attività di servizio, il che impedisce il parallelismo tra interruzione del rapporto già in atto e che doveva altrimenti proseguire, rispetto ad un rapporto non ancora costituito e mai svolto (Cons. St., A.P., 10 dicembre 1991, n. 10; id., sez. IV, 6 aprile 2017, n. 1607; id., sez. III, 1 marzo 2017, n. 955).

Altrettanto pacifica giurisprudenza chiarisce però che tale riconoscimento non si estende a tal punto da riconoscergli anche un indebito arricchimento dalla situazione giuridica che l'Amministrazione ha illegittimamente determinato. Ne consegue che nella ricostruzione della carriera economica per il periodo interessato, l'amministrazione dovrà comunque detrarre quanto il dipendente risulti avere percepito a qualsiasi titolo, per prestazioni o attività svolta nel periodo di tempo durante il quale il rapporto è stato interrotto.

Tale attività aliunde svolta è stata resa possibile e lecita solo dal venir meno del rapporto di esclusività che lega il pubblico dipendente all'Amministrazione in costanza del rapporto. In altri termini, vietando le norme sul pubblico impiego il cumulo del servizio alle dipendenze della P.A. con qualsiasi altra attività, anche di carattere privatistico, le prestazioni ed attività svolte in costanza di sospensione del rapporto hanno carattere sostitutivo e sono rese possibili unicamente dall'interruzione del rapporto stesso (cfr. sez. VI, 20 ottobre 1999, n. 1489; Ad. Plen., 30 marzo 1999, n. 3; sez. IV, n. 6181 del 2000). Ne consegue che nell'ipotesi di ricostruzione ex tunc del rapporto lavorativo la reintegrazione patrimoniale deve essere diminuita dal c.d. "aliunde perceptum", cioè di quanto "percepito altrove", vale a dire di guadagni per retribuzioni erogate da altri o per attività comunque lucrative.

Il combinato disposto dei due connessi e correlati principi, di connotazione civilistica, quello della "restitutio in integrum" e dell'"aliunde perceptum", fa dunque emergere l'infondatezza della ricostruzione operata dal ricorrente, non potendo l'omessa espressa previsione del giudice del lavoro - che, come si è detto, sul punto nulla ha chiarito - essere letta come una deroga ai principi civilistici che regolano la materia.

Il reclamo deve dunque essere respinto.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

pronunciando sul reclamo proposto dal prof. P.M., lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore


Avv. Francesco Botta

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